Fitodepurazione e Sistemi di fitodepurazione
Cos’è
la fitodepurazione, quali sono i principali sistemi di fitodepurazione, cenni
sul funzionamento e sul dimensionamento.
PRIMA PARTE
L’esigenza di costruire sistemi a sempre minore impatto ambientale per i sistemi di depurazione di acque reflue municipali o industriali, richiede considerazioni sempre più legate a valutazioni di carattere sociale ed istituzionale, oltre che alle tradizionali valutazioni tecniche. La ricerca di sistemi di trattamento con esigenze e caratteristiche tecniche "sostenibili" ha favorito negli ultimi anni lo sviluppo di sistemi che non richiedono componenti meccanici complessi ad elevato consumo energetico, ma che tendono a sfruttare appieno la componente "naturale" che sta alla base di un qualsiasi sistema di depurazione.
In quest’ottica si sono sviluppati e diffusi i sistemi di trattamento con fitodepurazione.
La fitodepurazione consiste in un tipo di trattamento operato da organismi vegetali che, tramite l’apparato radicale, assorbono gli elementi nutritivi (principalmente inorganici) presenti nell’acqua da depurare; lo sviluppo radicale di queste piante inoltre, funge da punto di adesione per i microrganismi, la cui attività viene favorita dalla liberazione di ossigeno atmosferico che, assorbito dagli apparati aerei della pianta, viene poi trasferito alle radici e liberato nell’ambiente circostante. La formazione di queste "nicchie" ossigenate all’interno del mezzo liquido permette perciò un buon livello di abbattimento della sostanza organica per l’attività degradativa dei microrganismi aerobici eterotrofi.
Il principio è quindi quello di utilizzare la normale capacità depurativa che possiedono le zone umide.
In effetti le zone umide naturali sono state utilizzate per molti secoli per il trattamento delle acque di scarico prodotte dagli insediamenti abitativi, anche se nella maggior parte dei casi le paludi venivano utilizzate come una sorta di bacino di accumulo prima dello sversamento nel corpo idrico recettore finale e non come veri e propri sistemi di trattamento, con la conseguenza di ottenere irreversibili degradazioni della loro qualità causati dagli scarichi incontrollati dalle acque inquinate. |
Questo è accaduto fino ad un passato relativamente recente, in quanto le zone umide sono state storicamente considerate come malsane ed inadatte alla vita umana. Tuttavia negli ultimi trenta anni si è invece assistito ad un netto aumento di interesse e ad un radicale cambiamento nella loro considerazione. Sono infatti stati identificati gli svariati benefici forniti dalle aree umide tra cui la possibilità di approvvigionamento di acqua, la buona funzionalità per il controllo idrico (casse di espansione per eventi alluvionali), lo sfruttamento per attività di estrazione (cave di sabbia, di ghiaia e di torba), l’utilizzo delle piante in esse presenti (materie prime per prodotti alimentari, cosmetici e farmaceutici, foraggio, legname, produzione di carta e cartone, materiale per copertura, fertilizzanti), la presenza di animali allo stato libero (volatili acquatici migratori, fonte di abbeveramento per molte specie), la presenza di pesci ed invertebrati (gamberi, granchi, ostriche, cozze, vongole), la possibilità di utilizzo per produzioni integrate (ad esempio piscicoltura abbinata alla coltivazione del riso), il controllo dei fenomeni erosivi e di desertificazione e il grande contributo alla biodiversità, la possibilità di utilizzo come fonti energetiche (idroelettrica, solare, pompe di calore, produzione di gas e combustibili liquidi e solidi), e infine le attività educative e ricreative.
La necessità di tutelare le zone umide naturali e l’impossibilità di prevedere con precisione le conseguenze di un apporto di reflui inquinati, sia sull’ecosistema palustre, sia i termini di efficacia della depurazione, ha portato ad una serie di studi svolti alla ricostruzione di sistemi umidi specifici e controllabili per il trattamento delle acque inquinate.
L’applicazione di sistemi naturali costruiti (Constructed Wetlands) per il trattamento delle acque reflue rappresenta ormai una scelta ampiamente diffusa in tutto il mondo per il trattamento depurativo di acque reflue civili di piccoli insediamenti e nel post-trattamento di effluenti industriali trattati con sistemi tradizionali. Infatti le aree umide artificiali offrono un maggior grado di controllo, permettendo una precisa valutazione della loro efficacia e la possibilità della scelta del sito, la flessibilità nelle scelte di dimensionamento e nelle geometrie, e, più importante di tutto, il controllo dei flussi idraulici e dei tempi di ritenzione.
Nella fitodepurazione tramite Constructed Wetlands non è richiesto alcun input di energia elettrica dall'esterno ed è sufficiente la ricostruzione degli habitat naturali per sfruttarne la capacità autodepurativa dovuta sia all’azione diretta delle piante, che alla consistente attività delle popolazioni batteriche che si sviluppano sulle idrofite e nell'habitat circostante. |
I sistemi di fitodepurazione basati sulla ricostruzione di zone umide artificiali si possono distinguere in diverse tipologie, brevemente riassumibili nella maniera che segue.
- Sistemi a macrofite idrofite galleggianti;
- Sistemi a macrofite idrofite radicate sommerse;
- Sistemi a macrofite idrofite radicate emergenti;
- Sistemi multistadio, dati da combinazioni delle tre classi precedenti.
I primi due sistemi prevedono la presenza di una superficie di acqua, in maniera similare a quanto accade in natura negli ambienti palustri e lagunari, mentre il sistema a macrofite radicate emergenti consente di operare sia con superfici di acqua (come nei casi precedenti), sia senza superfici esterne di acqua, che permane invece sotto al livello del suolo. Infatti questi sistemi, tra i più diffusi per la loro flessibilità, possono subire una ulteriore classificazione dipendente dal cammino idraulico delle acque reflue:
- Sistemi a flusso superficiale;
- Sistemi a flusso sommerso (o subsuperficiale) orizzontale;
- Sistemi a flusso sommerso (o subsuperficiale) verticale.
Sono costituiti da appositi bacini impermeabilizzata di opportuna geometria e dimensioni, dove transitano le acque reflue. Sulla superficie di queste vengono coltivate apposite piante acquatiche in grado di agire sugli inquinanti e quindi di depurare le acque.
Tali sistemi di trattamento, si ottengono in bacini impermeabilizzati naturalmente o artificialmente, privi di un idoneo substrato di supporto per le macrofite, nei qual viene applicato il refluo in maniera da mantenere un battente idrico compreso tra poche decine di centimetri e qualche metro (a seconda delle tipologie di pianta e del tipo di trattamento richiesto). |
Attualmente si conoscono vari tipi di piante acquatiche per trattare acque di scarico, ma quelle con migliori capacità di depurazione e maggiormente utilizzate sono il Giacinto d'acqua (Eichhornia crassipes) e la Lemna (Lemna sp., Spirodela sp., e Wolffia sp).
La lemna, è la più piccola e semplice pianta galleggiante utilizzata per il trattamento di depurazione di reflui. La caratteristica principale di tali piante è la rapidità della crescita che le consente, con opportune condizioni ambientali, di raddoppiare la superficie coperta in soli 4-6 giorni. Altra caratteristica positiva della lemna è la resistenza alle basse temperature (temperatura minima di crescita di 7-8°C) che la rende adatta anche in climi relativamente freddi.
La capacità depurativa dei sistemi che fanno uso di idrofite galleggianti dotate di apparato radicale è dovuta all'apporto di ossigeno dalle foglie alle radici, all'azione adsorbente esercitata dalle radici nei confronti dei solidi sospesi colloidali, al potere depurativo della biomassa aerobica adesa alle radici stesse e all'assimilazione diretta dei nutrienti da parte della pianta.
Solitamente tali sistemi sono impiegati per la rimozione della sostanza organica e dei nutrienti nell’affinamento degli effluenti secondari. Per favorire il processo e le sue prestazioni, occorre provvedere alla frequente raccolta delle nuove piante prodotte.
L'utilizzo di idrofite sommerse nella fitodepurazione non è ancora un sistema largamente diffuso ed è tuttora in fase di studio. I principali meccanismi depurativi riconosciuti sono la completa degradazione aerobica della sostanza organica, la volatilizzazione dell'ammoniaca e la precipitazione chimica del fosforo dovute a favorevoli condizioni di pH conseguenti dell'attività fotosintetica, con produzione di ossigeno e riduzione del tenore di carbonio organico disciolto.
I sistemi a flusso superficiale consistono in vasche o canali dove la superficie dell’acqua è esposta all’atmosfera ed il suolo, costantemente sommerso, costituisce il supporto per le radici delle piante emergenti. In questi sistemi il flusso è orizzontale e l’altezza delle vasche generalmente limitata a poche decine di centimetri. In questi sistemi i meccanismi di abbattimento riproducono esattamente tutti i fattori in gioco nel potere autodepurativo delle zone umide. |
I trattamenti a flusso subsuperficiale si ottengono in bacini impermeabilizzati naturalmente o artificialmente, riempiti con un idoneo substrato di supporto e di crescita per le macrofite (terreno naturale, sabbia, ghiaia o pietrisco ed altri materiali), detto anche medium, in cui viene applicato il liquame in maniera da mantenere un flusso idrico controllato all'interno del medium stesso. La depurazione è favorita dallo sviluppo di colonie batteriche sulle radici e sui rizomi delle piante attraverso i quali viene fornito ossigeno atmosferico.
Esistono sistemi a flusso orizzontale e a flusso verticale. I primi, caratterizzati dalla continuità di flusso attraverso il medium costantemente saturo, sono utilizzati per ottenere la rimozione della sostanza organica, la denitrificazione e la parziale nitrificazione e rimozione del fosforo; mentre i secondi, caratterizzati dalla discontinuità del flusso tramite periodica percolazione attraverso il medium che subisce un'alternanza di condizioni di saturazione e di esposizione all'atmosfera (che ne favoriscono l'aerazione causata dal movimento dell’acqua nel medium), vengono solitamente utilizzati per incrementare le capacità di nitrificazione dei sistemi a flusso orizzontale.
I sistemi a flusso sommerso orizzontale sono costituiti da vasche contenenti materiale inerte con granulometria prescelta al fine di assicurare una adeguata conducibilità idraulica (i mezzi di riempimento comunemente usati sono sabbia, ghiaia, pietrisco); tali materiali inerti costituiscono il supporto su cui si sviluppano le radici delle piante emergenti (comunemente utilizzate le Phragmites spp e principalmente la P. australis); il fondo delle vasche viene opportunamente impermeabilizzato con uno strato di argilla, o con membrane sintetiche. Il flusso di acqua rimane costantemente al di sotto della superficie del vassoio assorbente e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto. |
Durante il passaggio dei reflui attraverso la rizosfera delle macrofite, la materia organica viene decomposta dall’azione microbica, le sostanze azotate vengono sottoposte a processi di nitrificazione e denitrificazione (se in presenza di sufficiente contenuto organico), il fosforo e i metalli pesanti vengono fissati per adsorbimento sul materiale di riempimento. Il contributo della vegetazione al processo depurativo si può ricondurre sia allo sviluppo di una efficiente popolazione microbica aerobica nella rizosfera sia all’azione di pompaggio di ossigeno atmosferico dalla parte emersa all’apparato radicale e quindi alla porzione di suolo circostante, con conseguente migliore ossidazione del refluo e creazione di una alternanza di zone aerobiche, anossiche ed anaerobiche. Questo comporta lo sviluppo di diverse famiglie di microrganismi specializzati e scomparsa pressoché totale dei patogeni, particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti nel tenore di ossigeno disciolto. I sistemi a flusso sommerso assicurano una buona protezione termica dei liquami nella stagione invernale, specie nel caso si possano prevedere frequenti periodi di copertura nevosa.
La configurazione di questi sistemi è del tutto simile a quella con flusso orizzontale. La differenza consiste nel fatto che il refluo da trattare scorre verticalmente nel medium di riempimento (percolazione) e viene immesso nelle vasche con carico alternato discontinuo. Per tale ragione questi sistemi hanno la prerogativa di consentire una notevole diffusione dell'ossigeno anche negli strati più profondi delle vasche, e di alternare periodi di condizioni ossidanti a periodi di condizioni riducenti. |
Le essenze impiegate sono le medesime dei sistemi a flusso orizzontale.
Le nuove configurazioni impiantistiche prevedono spesso l’utilizzo di sistemi combinati e propongono l’abbinamento di sistemi orizzontali con sistemi verticali, sia per la riduzione delle aree superficiali necessarie al raggiungimento degli obbiettivi della depurazione, sia per migliorare alcuni processi depurativi come l’abbattimento dell’azoto e del fosforo.
Tali sistemi che possono prevedere un ampio numero di bacini in serie ed in parallelo tendono ad assomigliare maggiormente agli habitat naturali poiché sono generalmente multispecie.
Ad esempio, si può ricorrere a sistemi di fitodepurazione multistadio in cui si fa seguire un bacino di fitodepurazione di affinamento (con macrofite galleggianti, emergenti o sommerse) ad uno di sgrossatura (con macrofite galleggianti o emergenti), a sua volta alimentato con un effluente primario proveniente da un sedimentatore primario o da una vasca Imhoff.
In ogni caso tali processi vanno preceduti almeno da una fase di pretrattamento con lo scopo di rimuovere eventuali corpi grossolani (grigliatura), sostanze flottanti (degrassatura) e solidi sedimentabili (sedimentazione primaria). Negli impianti di piccole dimensioni, caso peraltro ove la fitodepurazione viene applicata con maggior frequenza, il trattamento primario viene sovente ottenuto tramite fossa Imhoff. |
Nei processi di fitodepurazione vengono impiegate macrofite particolarmente adatte alla vita in ambienti umidi, ovvero essenze idrofite.
Le idrofite sono piante che si possono sviluppare in ambienti puramente acquatici o su terreni o substrati che almeno periodicamente si saturano d'acqua o vengono sommersi dall'acqua, quindi gli habitat tipici di sviluppo e di provenienza di tali piante sono le acque dolci stagnanti.
I criteri da utilizzare per la selezione delle piante più adatte ai sistemi di fitodepurazione, possono riassumersi in:
- adattabilità al clima locale,
- elevata attività fotosintetica,
- elevata capacità di trasporto dell'ossigeno,
- resistenza a concentrazioni elevate di inquinanti,
- capacità di assimilazione degli inquinanti,
- resistenza a condizioni climatiche avverse,
- resistenza alle malattie,
- semplicità di coltivazione e gestione (piantumazione, propagazione, raccolta, ecc.).
Tali essenze vegetali possono
essere del tipo emergente, galleggiante o sommersa.
Le idrofite emergenti sono piante radicate ad un substrato che può essere saturo d'acqua (con livelli piezometrici posti anche a 50 cm al di sotto della superficie) o completamente sommerso (con coperture d'acqua comunque non superiori a 1,5 m), dotate di steli, foglie ed organi riproduttivi aerei.
Analogamente alle piante di habitat terrestri, sintetizzano il carbonio atmosferico ed i nutrienti assunti attraverso il proprio apparato radicale e provvedono al trasporto dell'ossigeno atmosferico fino al livello delle radici e degli eventuali rizomi (la cosiddetta rizosfera); qui possono avvenire reazioni aerobiche di stabilizzazione della sostanza organica e di nitrificazione, che sono di particolare interesse per il trattamento depurativo. Questi processi biologici sono opera dei batteri in sospensione nel liquame e soprattutto adesi al substrato di coltivazione, alle radici ed ai rizomi delle idrofite stesse (popolazioni epifitiche). Nelle zone al di fuori della zona ossidata operano popolazioni batteriche facoltative e/o anaerobiche tra cui i batteri denitrificanti.
Tipiche idrofite emergenti sono le cannucce o canne di palude (Typha spp, Phragmites spp), le più diffuse negli impianti oggi in funzione, i giunchi di palude e le stiance.
Le idrofite a foglie galleggianti possono essere libere o radicate nel terreno; vivono in bacini idrici di altezza variabile tra 25 e 350 cm e sono caratterizzate da avere foglie galleggianti ed organi riproduttivi aerei o galleggianti.
Anche le idrofite galleggianti sintetizzano il carbonio atmosferico ed i nutrienti assunti attraverso il proprio apparato radicale. Nelle specie liberamente galleggianti i nutrienti vengono rimossi direttamente dallo strato d'acqua. Le radici costituiscono anche un eccellente supporto per la crescita batterica e per la filtrazione e l'adsorbimento dei solidi sospesi.
Le idrofite galleggianti determinano una copertura superficiale del bacino idrico che tende a ridurre la penetrazione della luce solare ed il trasferimento dei gas tra la superficie liquida e l'atmosfera, favorendo la scomparsa delle alghe e l'instaurarsi di condizioni anaerobiche all'interno della colonna d'acqua. Peraltro l'ossigeno viene trasferito verso le radici e quindi si creano zone aerobiche ed anossiche in cui vengono favorite le reazioni sequenziali di nitrificazione e denitrificazione.
I più comuni tipi di idrofite galleggianti utilizzati negli impianti di fitodepurazione sono i giacinti d’acqua (Eichhornia crassipes) e la Lemna (Lemna sp., Spirodela sp., e Wolffia sp). Per motivi climatici i giacinti sono inadatti alle nostre latitudini, mentre la lemna è resistente alle basse temperature (con temperatura minima di crescita di 7-8°C), ed è quindi adatta anche in climi relativamente freddi.
Le idrofite sommerse vivono in bacini idrici di altezza variabile fino a 10-12 m e sono caratterizzate da avere foglie interamente sommerse ed organi riproduttivi aerei, galleggianti o sommersi.
Le idrofite sommerse sintetizzano il carbonio ed i nutrienti che vengono assunti direttamente dalla colonna d'acqua. Poiché i tessuti fotosintetici sono interamente sommersi è necessario che la loro crescita avvenga in acque sufficientemente limpide per consentire il passaggio della luce, e comunque la crescita non avviene a profondità ove la luce sia carente. Di notte le idrofite sommerse respirano, quindi utilizzano ossigeno, che deve essere direttamente disponibile nella colonna d'acqua.
Come tutti i sistemi di trattamento, anche quello di fitodepurazione presenta una serie di vantaggi e di svantaggi rispetto ad altri metodi; in particolare, riferendosi al sistema di trattamento biologico delle acque reflue più diffuso, ovvero quello a fanghi attivati, i tipici vantaggi del trattamenti di fitodepurazione rispetto ai trattamenti convenzionali possono riassumersi in:
- semplicità ed economia di costruzione e di esercizio;
- minore richiesta di manutenzione;
- nulla o ridotta necessità di apparecchiature elettromeccaniche
- non necessità di personale altamente qualificato;
- maggiore resistenza agli shock di carico organico ed idraulico a causa dei lunghi tempi di ritenzione idraulica;
- possibilità di ottenere sottoprodotti vegetali riutilizzabili o comunque non dannosi per l’ambiente
Naturalmente, anche il sistema di trattamento con fitodepurazione presenta anche alcuni svantaggi rispetto ai trattamenti biologici a fanghi attivati di tipo convenzionale, in particolare:
- richiesta di ampie superfici, molto maggiori rispetto ai depuratori convenzionali;
- andamento stagionale delle prestazioni, con un sensibili calo prestazionali nei mesi più freddi;
- problema di produzione di odori molesti in eventuali zone anaerobiche;
- proliferazione di zanzare ed altri insetti nei sistemi con superficie liquida esposta.